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Dalla carretta del mare alla progettazione della funivia dei record

Scritto da il 17 Settembre 2021

È stato il destino, se così lo si vuole chiamare, ad averlo portato, il 6 marzo del 1991, al porto di Durazzo e a metterlo di fronte alla scelta della vita: imbarcarsi su una nave, assieme a migliaia di connazionali, e salpare verso la libertà, lontano dall’Albania pronta ad esplodere, oppure fare marcia indietro e tornarsene a casa, al lavoro di capostazione nella sua città di Elbasan, rinunciando alla prospettiva di un futuro migliore. «Il destino ti mette di fronte alle scelte ma poi spetta a noi decidere la strada da imboccare».

Da Brindisi a Monguelfo

La strada di Genc Mullaj, albanese di origine ma bolzanino ormai da una vita, lo ha portato in Italia, prima a Brindisi e poi a Monguelfo, quindi sullo Stelvio, a Vipiteno e infine a Bolzano, dove oggi lavora come ingegnere per la Leitner, progettista di impianti a fune (l’ultimo lavoro, assieme al suo team, a Città del Messico, dove l’azienda di Vipiteno ha realizzato la linea funiviaria urbana più lunga del mondo), e dove vive con la moglie e i due figli. «Il diritto di scelta riguarda anche il tipo di persona che si vuole diventare, io ho scelto la strada della correttezza e dell’onestà: per me era importante trovare subito un lavoro, mi sarebbe andato bene uno qualsiasi».

Modello d’integrazione

Quella di Genc, oggi 55enne (gli anni li compie fra un mese), è la bella storia di un’integrazione perfettamente riuscita, un modello – anche se lui ci tiene a considerarsi uno fra i tanti – da prendere ad esempio in un momento, come questo, di grande tensione per i nuovi o riproposti flussi migratori. Difficile, se non impossibile, condensare in uno spazio ridotto tutta la storia di Genc Mullaj, iniziata nell’Albania del post comunismo, nei primi anni Novanta, con l’avvio del disfacimento del regime che aveva portato il Paese sull’orlo della fame. «Nonostante la propaganda comunista cercasse di tenerci all’oscuro riguardo le notizie dall’estero – spiega – il controllo del partito, negli ultimi anni, calò in maniera sensibile, e capimmo così che di capitalismo non si moriva». Ciò che prima era vietatissimo, anche quasi il semplice desiderio di ciò che era occidentale e capitalista (i film, la moda, la musica), diventava possibile e la situazione esplose con la morte del leader albanese Hoxha. «Mancavano soldi e cibo, lo Stato forniva le razioni alimentari e le famiglie vivevano in condizioni di povertà – racconta Genc Mullaj, in quegli anni studente di Ingegneria Meccanica – e così cominciarono le manifestazioni di protesta, gli scioperi».

Il giorno che gli cambiò la vita

Nel giorno che gli cambiò la vita, in quel lontano 6 marzo del 1991, fresco di laurea era diretto a Durazzo per un corso di aggiornamento da capostazione, lavoro che intraprese dopo il servizio militare. Il destino, quella mattina, lo condusse invece al porto, mettendolo di fronte alla scelta della vita: salire o no sulla nave “Tirana”, assieme a una fiumana di gente? Alla fine non ebbe il coraggio, troppo repentina la decisione da prendere, senza avvisare nessuno, amici e familiari. «La voglia di andare c’era, se ne parlava sempre con gli amici, la sera, al bar, ma quel giorno mi trovai preso alla sprovvista». Il destino però si incaponì e dopo che la “Tirana” salpò ci fu subito un’altra nave pronta a prendere il largo, la panamense “Legend”, presa d’assalto da un’altra fiumana di persone. «Sentivo che la decisione era dentro di me, serviva solo un po’ di coraggio».

Provò a chiamare gli unici affetti che avevano il telefono in casa, un cugino e il miglior amico, senza ottenere risposta. «Allora entrai in un bar e ordinai una doppia vodka e la buttai giù in un sorso». Dopo 5 minuti era già sul ponte della nave. Nei minuti antecedenti la partenza riuscì anche a scrivere alcune righe in una lettera per il padre, chiedendo a uno sconosciuto, presente al porto, di spedirgliela. La lettera è giunta a destinazione e ancor oggi è conservata gelosamente dal genitore. La partenza della “Legend” non fu immediata, ci vollero alcune ore per uscire dal porto di Durazzo e la trepidazione della gente a bordo venne smorzata solo dalla doppia sirena e dal boato dei motori in accensione. Il viaggio della speranza non fu affatto facile: pessime condizioni igieniche, fame e sete che presero il sopravvento e la paura di una improvvisa retromarcia con rientro in Albania. La gioia scoppio inarrestabile, a bordo del cargo trasformato in un traghetto, alla vista della costa che poi si seppe essere quella pugliese.

All’inizio tutta una scoperta

La permanenza di Mullaj a Brindisi durò alcuni giorni, giusto il tempo di rifocillarsi, sistemarsi, pulirsi e cambiare abito, poi la ripartenza in treno verso il nord, in direzione dell’Alto Adige, destinazione la caserma Battisti a Monguelfo: cibo, docce, tv, i soldi per comprarsi le sigarette e per telefonare a casa, tutto quello che serviva. «Per un lungo periodo iniziale fu una continua scoperta perché per me, lì, ogni cosa era nuova, dai vestiti al cibo, alle case, al traffico. Ricordo una splendida accoglienza, tutti ci trattavano bene, eravamo favoriti dal fatto che per la prima volta l’Italia si trovava ad affrontare un flusso migratorio di queste dimensioni. Sin dal primo giorno il nostro pensiero fisso era trovare un lavoro e guadagnare i soldi da inviare a casa».

La prima neve sullo Stelvio

La laurea in ingegneria meccanica fu determinante per trovare un’occupazione, nell’estate del 1991, come meccanico degli impianti a fune dello Stelvio: «In Albania non avevo mai visto scendere il termometro più in basso dei due gradi sotto lo zero e neppure avevo mai visto oltre venti centimetri di neve ma dopo un po’ mi abituai e presi confidenza con il lavoro».

Con Leitner in giro per il mondo

Il destino gli aveva fatto imboccare ancora una volta la via giusta: un giorno, allo Stelvio, vennero dei tecnici per provare una nuova macchina battipista. Uno di loro era il capo ufficio progettazione del reparto macchine della Leitner. La conoscenza aprì a Genc Mullaj le porte dell’azienda di Vipiteno: «Iniziai nel 1992 come disegnatore ma ero l’unico che lo faceva a mano, visto che non avevo mai neppure visto un programma Cad. Mi procurai tutto il materiale necessario a imparare l’utilizzo del computer. Nel 2002 ho avuto l’incarico di ingegnere progettista visto che avevo ottenuto il riconoscimento della mia laurea». Mullaj, grazie all’azienda altoatesina, ha spesso la possibilità di girare il mondo per lavoro: assieme ai colleghi ha preso parte alla progettazione della Cablebùs 2, la funivia di Città del Messico lunga 10,5 chilometri, mentre in Nuova Zelanda si è occupato del nuovo collegamento per il monte Ruapehu, la vetta del “Signore degli anelli”.

Il ricordo dopo 30 anni

Oggi, a 55 anni, è una persona felice; il ricordo di quel 6 marzo di trent’anni fa, nonostante ciò che gli è costato in termini di sacrifici, è un dolce ricordo: «Al di là di ciò che ci riserva il destino, dipende solo da noi la strada che imbocchiamo e alla fine ciò che sono oggi l’ho deciso io».


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